Premessa (scritta al termine dell’articolo): sono stata lunga, lo so (forse “mi è mancato il tempo di essere più breve?”…riprendendo una simpatica e significativa frase letta in un blog nei giorni scorsi); spero di trovare lettori e lettrici curiosi/e e voleterosi/e: Precisazione: temo di aver dato l’impressione, nel trattare il Progetto Senza Zaino, di aver creato un’isola felice nella mia scuola, dove tutto va a gonfie vele, con bambini sempre pieni di entusiasmo. Non è così, o perlomeno, non è costantemente così, però non mi interessava qui di dare spazio alle difficoltà, ai momenti di sconforto da cui ci possiamo sentire assalite quando non troviamo risposte adeguate ai tanti bisogni dei nostri bimbi, per non parlare della desertificazione delle risorse….insomma, l’intento era quello di far risaltare la positività di una scelta educativo/pedagogica qualitativamente meritevole.

Organizzazione settimanale delle attività
La riflessione sviluppata recentemente da Luisella in uno dei suoi articoli in merito al “valore” delle prove Invalsi con cui deveno misurarsi i/le nostri/e alunni/e dalla scuola primaria fino alla secondaria di 2°grado, non è, a mio avviso, affatto trascurabile perché in base al tipo di approccio, si delinea il nostro “credo pedagogico”, per dirla alla J.Dewey, quindi la visione della “comunità educante” (procedendo per citazioni…Don Milani) che quotidianamente perseguiamo.
Questo mi porta, inevitabilmente, a fare un collegamento con il Progetto Senza Zaino (www.senzazaino.it) che orgogliosamente stiamo portando avanti nella mia scuola da due anni, dopo un’ importante fase preparatoria dal punto di vista teorico – perché scompagina completamente gli schemi della scuola tradizionale, dagli arredi, all’uso degli spazi e soprattutto rispetto alla metogologia didattica – che ha comportato il farsi strada di nuovi “abiti mentali”, per molte insegnanti con fatica e diverse insicurezze nel lasciare percorsi conosciuti e ben collaudati. Non mi voglio qui dilungare sulla bontà di questo Progetto – un dato su tutti: moltiplica in modo direi esponenziale la motivazione a venire a scuola e ad apprendere da parte dei nostri bimbi -, ma voglio invece spendermi di più sull’aspetto della valutazione che mira ad essere autentica. Questa aggettivazione è densa di significati teorici che rimandano, in primo luogo, alla relazione che si dà tra alunno/a e insegnante, connotata in primo luogo dal fatto che quest’ultima, non solo non ha più la sua cattedra – noi maestre abbiamo solo un piccolo tavolo di appoggio, messo in un angolo dell’aula – da cui sentenziare o pontificare, ma ha un ruolo di accompagnamento : esprime considerazioni sull’andamento dei percorsi e sugli esiti finali, facendo oggetto di analisi il processo intrapreso e non la persona. Insomma, nel Senza Zaino, niente voti, non trovano posto nemmeno i “Bravissimo/a”, “Superbravo/a…”, ma quando è l’insegnante ad esplicitare la sua valutazione, scrive annotazioni sul lavoro svolto: quindi, “Lavoro fatto bene perché…” e sia in caso positivo che negativo l’insegnante motiva le sue osservazioni. I bambini vivono molto bene queste sollecitazioni a migliorarsi e sono stimolati alla consapevolezza dei traguardi conseguiti e di quelli ancora da raggiungere. Questo anche perché imparano, attraverso la metodologia del Senza Zaino – dove tutto si discute, si vagliano le posizioni di tutti, si sceglie e si tratteggia insieme il percorso che dalla conversazione scaturisce, si fissano su pannelli delle procedure concordate – a gestire la propria Autovalutazione che si snoda attraverso tutta una serie di fattori individuati collettivamente – differenziati per disciplina -: ciascuno ha così “il termometro” tangibile di ciò che già padroneggia e di ciò che invece ancora è da consolidare e rafforzare. I momenti di valutazione/autovalutazione sono abbastanza frequenti e non avvengono solo mediante le ordinarie attività di verifica su testi scritti sia che siano di italiano o matematica o altro…ma anche momenti di esperienza diretta, costruttiva che implica il “fare, l’operare, l’inventare, trovare nuove strategie per la soluzione di problemi…” spesso in un contesto collaborativo, perché è il cooperative learning, la metodologia principe. Inutile dire che per non perdere nessuna individualità a lavoro nel collettivo, occorre che queste attività si realizzino a piccoli gruppi e non in contemporanea, per consentire a noi insegnanti un’attenta osservazione di tutti gli aspetti che nelle situazioni esperenziali attivate entrano in gioco. Dunque, l’autenticità non considera solo l’aspetto cognitivo, ma quel prisma di fattori che caratterizzano una personalità nella sua crescita. Per essere ancora più chiara per ciò che riguarda come si valuta nel progetto SZ: il gruppo, la comunità non diluisce o annulla ogni individuo con le sue peculiarità, anzi lo valorizza; momenti di valutazione formativa con gli strumenti più comuni sono contemplati ma non sono esaustivi, poiché è l’attuarsi di esperienze (anche apparentemente ludiche, quindi ludiformi) che dà più completezza – mai definitiva, sempre in divenire – al quadro di ogni soggetto in evoluzione.
Toccando l’argomento valutazione, così complesso, così difficile, è stato inevitabile fornire qualche elemento in più sui principi e sulle caratteristiche del SZ, impossibili da glissare. Penso che sia emerso quanto, al di là del progetto nel suo insieme, anche solo il processo valutativo si dia in tempi lunghi, non una volta per tutte, che – ma questo non solo per chi pratica il SZ, ma ha a cuore il benessere scolastico e non solo, dei propri alunni – non considera il prodotto finale, ma tutto il processo, tenendo ben presenti i punti di partenza di ciascuno, individualizzando dunque l’insegnamento ma di conseguenza la valutazione stessa, in un circolo virtuoso.
Ora, tutta questa mia dissertazione non è peregrina, è volta a suffragare l’idea della totale parzialità e pochezza delle prove Invalsi: lo dimostrano i loro quiz, spesso non formulati nemmeno con chiarezza, ‘l’aver sottoposto ai bimbi testi, come quello citato da Luisella, pericolosi perché ammantano di scientificità tesi sessiste e discriminatorie che devono essere bandite nei luoghi della cultura e della formazione; c’è la presunzione di poter dedurre l’ “l’essere e il sapere” di una persona attraverso una crocetta, data in un tempo circoscritto, in un contesto – nel mio caso sarà così, sono in una classe 2° – totalmente diverso da quello sereno, solitamente disteso e motivante di tutte le mattine, perché anche se cercheremo di stemperare certe ansie, si respirerà comunque un po’ di atmosfera da esame. Finora, solo le crocette hanno fatto risultato e sono entrate nelle statistiche; da qualche tempo, dopo le innumerevoli contestazioni sull’efficacia di queste prove, si sta cominciando a parlare di valore aggiunto, quello che dovrebbe connotare la storia di ogni bambino/a. Bene, ci fa piacere, ma nessuno potrà mai convincerci che quello che è ogni bambino e bambina, nella sua interezza, potrà stare condensato nel risultato di un quiz. L’obiezione che sollevano di fronte ad affermazioni come la mia è che serve l’oggettività per poter rendere possibili dei confronti; d’accordo, basta però che non ci vogliano millantare che la presunta oggettività (ci sarebbe da dire molto sulla questione…) sia esaustiva nel dare informazioni sui livelli acquisiti da un soggetto in età evolutiva, anche solo per il fatto che gli ambiti indagati sono solo Italiano e Matematica…E tutto l’illuminanate lavoro di H.Garder sulle intelligenze multiple, lo cestiniamo disinvoltamente? Quanti interrogativi ancora si accenderebbero, ma mi sono già dilungata abbastanza…
Noi di 2°B affronteremo anche questa scadenza Invalsi con lo spirito che ci contraddistingue: noi non l’abbiamo scelto, ci cala dall’alto, ma non appena avremo eseguito il compito come “soldatini”, ritorneremo a creare, inventare, fantasticare, progettare, concretizzare percorsi da cui imparare con piacere.
Grazie per essere arrivati all’ultima parola.